Raramente mi capita di utilizzare questo blog per parlare di argomenti troppo estranei alla moda, soprattutto maschile, che è il motivo stesso per cui questo blog esiste. Questo, nonostante abbia creato appositamente la rubrica Everyday Life, il cui intento è proprio quello di riuscire ad unire tutto ciò che riguarda me al di là della moda. Ci sono però degli argomenti che, a mio parere, hanno la necessità di essere visti, analizzati e (volendo) spiegati da persone che ne abbiano non solo la sensibilità, ma anche le competenze. D’altronde, se da un lato Internet ci ha reso liberi di poter dire la nostra su tutto, resta immutato il fatto che chi ha studiato, chi conosce, chi fa un mestiere ha il “diritto” di svolgerlo ed è un nostro “dovere” lasciarglielo fare. Proprio per questi motivi io, che ho studiato design e comunicazione e sono un appassionato d’arte, ho titubato fino alla fine a parlare di un argomento che si è diffuso su Internet in meno di poche ore, ma che mi ha colpito talmente tanto da vedere il blog come il mezzo principale e immediato per poterlo condividerlo con gli altri, anche se forse non dirò le cose giuste.
Erik Ravelo non è definibile proprio come un’artista: Erik è un comunicatore. Fa parte di quella “branchia” del design che ad oggi ha avuto la definizione di Critical Design. Fare design non è una questione estetica, proprio come non lo è fare moda (non per niente la definizione più giusta della moda è fashion design): design significa sopratutto progettare, e nel caso di un designer “critico” significa progettare una critica, ossia creare un oggetto (reale, immateriale, immagine, video, suono) che permetta a chi la vede, a chi la sente, a chi la usa di esaminare, valutare ed avere un giudizio sulle idee, sui concetti che quell’oggetto metaforicamente vuole esprimere. E’ un tipo di design spietato, volto a provocare, ispirare, far pensare, a colpire.
Erik lo aveva già fatto con la campagna UNHATE, promossa da Benetton, al cui centro vi era il bacio, il simbolo universale dell’amore. Attraverso una serie di foto ritoccate, era riuscito a far baciare leader politici e religiosi come il presidente Barack Obama e il leader Cinese Hu Jintao. Immagini simboliche di riconciliazione con un tocco ironico ma soprattutto con una precisa e costruita provocazione per stimolare una riflessione su come la politica, la speranza e le idee, anche se diametralmente opposte, devono dialogare e mediare tra loro.
La nuova campagna realizzata da Erik, stavolta non promossa da brand e quindi potenzialmente più vicina ad un’opera d’arte che ad un design critico, si intitola Los Intocables. Le immagini scelte sono semplici ma sapientemente costruite in modo seriale, proprio come se fosse una campagna di affissione. E la parola affissione in questo caso non è casuale. Ogni singola opera (è corretta chiamarla in questo modo) è formata da due elementi principali: un uomo, di età adulta, messo in modo da simboleggiare una croce, e un bambino, frontale, che viene “crocifisso” su tale croce. E’ l’idea dei “nuovi Cristo”, delle vittime innocenti che la decadenza della nostra civilità ha riportato, i danni creati da una cultura crudele, efferata e consumistica.
Non si tratta solo di violenza (ed è questo quello che mi ha colpito di più): la critica di Erik utilizza lo stesso linguaggio visivo per parlare di tanti tipi di violenza. Passa da quella più classica e ormai (purtroppo) nota come la violenza subita dai bambini da parte di preti pedofili, alla violenza della donazioni illegale di organi; dalla violenza nei confronti dei civili nelle guerre, al turismo sessuale (di bambini) tipici di alcuni paesi soprattutto dell’Asia; dall’incontrollabile “libertà” americana di poter utilizzare armi determinando le stragi in asili e scuole, al consumismo sfrenato di “junkie food” che sta determinando sempre più una popolazione non in salute; fino ad arrivare alla volontà di creare energia attraverso fonti non proprio sicure come il nucleare, determinando molto spesso malattie e morte di tutte le persone che in quelle città o in quelle zone ci vivono.
La sintesi e l’immediatezza di queste immagini mi ha provato sensibilmente. Mi ha “costretto” in pochi secondi a rendermi conto di ciò che oggi mi sta circondando, ciò che l’eccessiva comunicazione satura e ultraviolenta dei media ci sta pian piano facendo “abituare” in un escalation di indifferenza che ci renderà sempre meno critici.