Gli schemi ripetitivi
Quando ci sentiamo impotenti e confusi di fronte ad eventi casuali e non metodici, cerchiamo di ordinarli e così facendo acquisiamo un senso di controllo su di loro. Ma come il terrore di perdere il controllo ci obbliga a cogliere l’ordine e la sicurezza, spesso finiamo per creare degli schemi che alla fine non ci servono, e li ripetiamo con l’illusione del controllo. Questi schemi – che riguardano chi siamo, chi sono gli altri, come il mondo funziona – finiscono per definire il nostro comportamento, che a sua volta dà forma alla nostra realtà, creando un loop.
Continuare a ripetere degli schemi senza riconoscere che siamo finiti in un loop è una delle più grandi tragedie della vita; riconoscerlo ma sentirsi impotenti nel romperli è uno dei più grandi traguardi; trascendere la paura dell’incerto, che sottende tutti questi schemi di credo e comportamento, è un trionfo supremo.
È strano come la mente umana, nonostante la sua capacità e la sua grandissima libertà, sia portata a funzionare secondo schemi ripetitivi. La luna e i pianeti, i giorni e le stagioni, il ciclo della vita e della morta vanno secondo uno schema infinito, e inconsciamente la mente riecheggia questi cicli. I suoi pensieri vanno in loop, ripetendo gli schemi stabiliti così tanto tempo prima che spesso non ricordiamo neanche la loro origine, o perché gli abbiamo dato quel senso. E anche quando questi schemi falliscono tanto da portarci a desiderare altro, anche quando ci intrappolano e ci fanno sentire stanchi di noi stessi, anche quando ci fanno perdere il contatto con la verità ogni volta, continuiamo a non resistergli. Chiamiamo questi schemi di pensieri la nostra “natura” e ci facciamo gestire da loro come fosse il risultato di una forza fuori da noi, il modo che ha una luna distante e irrilevante di influire il mare.
La paura di rompere gli schemi
Eppure è senza dubbio in nostro potere rompere questi schemi, “violare” ciò che “la nostra natura” ha scelto di pensare – e di vedere, e di agire – in un modo diverso. Questo richiede un grande sforzo e una grande concentrazione. Anche se non è la pigrizia che ci ferma dal rompere gli schemi: è la paura. In un certo senso, si può dire che la paura è quella luna irrilevante a cui permettiamo di manipolare la natura delle nostre menti.
Perciò prima di arrivare alla rottura degli schemi, dobbiamo avere contatto con le nostre paure. La paura che una tela bianca e un lato vuoto della vita si rifletta su di noi, una cosa che ci paralizza e che ci dice che non possiamo fare niente. È una paura astratta, anche se trova il modo di assumere forme infinite. Oggi può essere la paura del fallimento, domani la paura di ciò che gli altri pensano di noi, e poi ancora la paura di scoprire che le cose peggiori che sospettiamo di noi stessi sono vere.
La paura, essendo anticipatrice, non si basa sulla conoscenza. È un calcolo mentale basato su un futuro incerto. Eppure l’esperienza della paura è l’esperienza di essere in preda ad una sensazione di possedere una convizione inattaccabile. Avere paura che l’aereo cada, in un certo senso, è presumere che l’aereo cadrà. Il coraggio invece è sempre più intelligente della paura, visto che si basa sul fondamento di ciò che uno conosce di se stesso (la conoscenza della propria forza, delle proprie capacità, della propria passione).
Il vuoto e il segno
E ci troviamo di fronte alla tela bianca. Una tela bianca che riflette sia la nostra paura che la nostra opportunità di romperla. Per gli ebrei, lo spazio bianco – il Chalal Panui – ha una grandissima importanza perché è la condizione necessaria per la creazione di Dio del mondo. Come può Ein Sof – l’essere senza fine, come viene chiamato Dio nella Kabbalah – creare qualcosa di finito senza che sia infinito? E come si può spiegare il paradosso di un Dio contemporaneamente assente e presente nel mondo? La risposta a questo, secondo la Kabbalah, è che quando Dio ebbe la volontà di creare il mondo, prima si ritirò lasciando un vuoto. Per creare il mondo, Dio prima doveva creare uno spazio vuoto.
Quindi possiamo dire che il primo atto di creazione non è un segno, è l’annullamento dell’infinito che esiste prima del segno. Fare un segno significa ricordare che siamo finiti. Significa rompere, violare, l’illusione che siano natura che segue schemi che vanno all’infinito. Ma è anche la conferma della nostra conoscenza e libertà, che è tutto ciò che abbiamo nel mondo.